Sulla modificazione della domanda

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a risolvere il contrasto sulla questione relativa alla modificabilità, ai sensi dell’art. 183, comma 5, c.p.c., della domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. in domanda di accertamento dell’avvenuto effetto traslativo, hanno affrontato, con la sentenza n. 12310 del 15 giugno 2015, in termini generali il tema dello ius variandi.

La decisione è pervenuta alle seguenti conclusioni:

(i) la modifica della domanda iniziale può riguardare anche gli elementi identificativi oggettivi, a condizione che riguardi la medesima vicenda sostanziale dedotta in giudizio con l’atto introduttivo o comunque sia ad essa collegata[1];

(ii) tale interpretazione risulta maggiormente rispettosa dei principi di economia processuale e ragionevole durata del processo, posto che, non soltanto non incide negativamente sulla durata del processo nel quale la modificazione interviene, ma, al contrario, determina un’indubbia incidenza positiva sui tempi della giustizia, essendo idonea a favorire una completa soluzione della vicenda;

(iii) anche in relazione alla limitazione del rischio di giudicati contrastanti, la concentrazione favorita risulta maggiormente rispettosa della stabilità delle decisioni giudiziarie;

(iv) non vi è lesione del diritto di difesa della controparte, in quanto l’eventuale modifica, che comporta l’assegnazione di congruo termine per potersi difendere e controdedurre anche sul piano probatorio, avviene sempre in riferimento alla medesima vicenda sostanziale, in relazione alla quale la parte è stata chiamata in giudizio.

In sintesi, la modifica della domanda ammessa a norma dell’art. 183 c.p.c. può riguardare gli elementi identificativi sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che, per tale motivo, si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l’allungamento dei tempi processuali.

Il principio è stato successivamente esteso ad un ambito oggettivo più ampio, non circoscritto al solo diritto contrattuale; significativa di tale indirizzo è la sentenza 13 settembre 2018, n. 22404 ancora delle Sezioni Unite della Cassazione, che, al fine di dirimere la questione concernente la possibilità di modificare, con la memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1, la domanda di adempimento contrattuale in richiesta di indennità per arricchimento senza causa, ha spostato l’attenzione dell’interprete, in una prospettiva di più ampio respiro, alla verifica del fatto che entrambe le domande, connesse  per “alternatività” o “incompatibilità”, ineriscano alla medesima vicenda sostanziale sottoposta all’esame del giudice allorché la domanda modificata sia più confacente all’interesse della parte.

Tale seconda pronuncia, inoltre, ha espresso un importante concetto che vale a completare il regime di proponibilità della domanda “complanare”, la quale non necessariamente dovrà sostituirsi alla domanda originaria, ma potrà ad essa cumularsi.

In linea con tale arresto, la Sezione 6/1 ha, da ultimo, con l’Ordinanza n. 18546/2020, statuito che: “ciò che rende ammissibile la introduzione in giudizio di un diritto diverso da quello originariamente fatto valere oltre la barriera preclusiva segnata dall’udienza ex art. 183 c.p.c., e che, quindi, consente di distinguere la domanda che tale diritto deduce da quella riconvenzionale di cui si occupa il comma 5 del medesimo articolo (cd. reconventio reconventionis), è il carattere della teleologica “complanarità”: il diritto così introdotto in giudizio deve attenere alla medesima vicenda sostanziale già dedotta, correre tra le stesse parti, tendere dopo tutto alla realizzazione, almeno in parte, salva la differenza tecnica di petitum mediato, dell’utilità finale già avuta di mira dalla parte con la sua iniziativa giudiziale e dunque risultare incompatibile con il diritto originariamente dedotto in giudizio”.

[1] Regola ricavabile da tutte le indicazioni contenute nel codice di rito in relazione alle ipotesi di connessione a vario titolo e, in particolare, al rapporto di connessione per “alternatività” o “per incompatibilità”.

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